Dario Arcidiacono nasce a Catania nel 1967. Vive e lavora a Milano.
Un repertorio di esseri mostruosi e pupazzi grotteschi, di paesaggi lunari e architetture visionarie, ibridati in una fiction interminabile.
Nato a Catania nel 1967, da tempo residente a Milano, Arcidiacono ha esordito nel 1995 con il gruppo degli “Ultrapop”, con cui ha lavorato fino all’aprile di quest’anno. Un sodalizio a quattro che per molti anni si è presentato compatto e affiatato, pur nella forte autonomia di ogni artista.
Negli anni ’90, quando l’ambiente culturale italiano è stato attraversato dalla ventata americana del pulp, anche gli “Ultrapop” hanno lasciato il loro segno, rendendosi riconoscibili sulla scena artistica italiana con uno stile e una ricerca giocati nel raggio delle subculture giovanili: un linguaggio nutrito di manga, cartoon, graffiti e videogiochi, parodiato per raccontare la disumanità e l’inquietudine contemporanee. Di questa ricerca Arcidiacono è stato un rappresentante appassionato e generoso. In particolare ha esplorato l’iconografia fantascientifica angosciata degli anni ’50 (la guerra fredda, il disastro post-atomico, la minaccia rossa sotto il velo della minaccia spaziale) e l’ha integrata con le più recenti aspirazioni ambientaliste, anticonsumiste e no global proprie delle nuove generazioni. Spinto da un entusiasmo ancora sincero, ha attinto a un vasto retroterra iconografico personale costituito dalla storia dell’arte, dalla letteratura e dal cinema di fantascienza, oltre che naturalmente dal fumetto e dall’illustrazione. Nella scelta dei soggetti gli insistiti e generici omaggi al fanta-horror e allo splatter hanno lasciato gradualmente spazio a precise denunce del reality-horror di una cronaca sempre più inquietante. Dalla morte di Lady Diana alla tragedia dell’11 settembre, gli eventi di più ampia risonanza mediatica si infiltrano anche nella serie Ecce clown. Non prima di aver attraversato miriadi di siti web che ne hanno moltiplicato le immagini e ne hanno estratto una quantità di storie e leggende cervellotiche e stravaganti. Con il risultato di potenziare il lato oscuro di eventi già di per sé inspiegabili e di alimentare una curiosità morbosa. Arcidiacono coglie le immagini di un mondo inconsapevolmente sull’orlo della guerra e della distruzione e le traduce in disegni, dapprima impulsivamente e quindi sempre più ponderatamente. La sua volontà è che queste immagini tragicomiche appaiano come allegorie: l’inconsapevolezza con cui si giustificano tutti gli orrori non può che essere un abbaglio collettivo, un incubo ad occhi aperti. Pur riversando nei suoi dipinti molti rimandi ai “classici”, in questo caso al segno delle antiche incisioni, l’artista lascia spazio ad ampie campiture di colori piatti. Così il nero incisivo dei contorni e quello fitto e tratteggiato delle ombre attenuano l’immediatezza chiassosa di rossi, gialli e blu o la presenza mai trascurabile del bianco. Per Arcidiacono il colore è un marchio preciso: al di là di una scelta in apparenza semplicistica, il suo utilizzo non è mai casuale ma è il risultato di letture e riflessioni sull’argomento. Ogni colore racconta una storia attraverso un proprio significato simbolico. Rosso e bianco, che rappresentano il tradizionale segnale di pericolo nel panorama urbano, si trasformano provocatoriamente nelle strisce dei pantaloni di un clown o degli arti di un goffo centauro oppure in un vago richiamo alla bandiera americana. E ogni colore diviene infine l’espressione più autentica dello stato d’animo dell’artista. Uno stato d’animo che dalla serena e impassibile spensieratezza è trascorso a una visione più cupa e partecipe e, soprattutto, alla sensazione del riaffermarsi di ideologie di violenza e sopraffazione nel panorama politico.