SENZATITOLO #17
I fotografi si distinguono per la loro capacità di guardare il mondo in un modo tutto particolare: lo osservano con acume, girano con pazienza attorno al soggetti, sanno aspettare il momento che ritengono più adatto e, prima di scattare, attendono che la realtà sui configuri nel mirino della loro fotocamera esattamente come l’avevano pensata. E se così non è, tirano fuori quella pregevole caparbietà che consentirà loro di ottenere i risultati che verranno poi apprezzati da quanti, osservando le fotografie, si chiederanno come ha fatto l’autore a realizzarle.
Romana Zambon tutte queste mosse le ha imparate nelle sue indagini sul paesaggio non accontentandosi mai della ripresa più prevedibile ma sapendo bene che un ulteriore passo, una nuova idea, una improvvisa e audace voglia di osare una prospettiva inconsueta le avrebbe permesso di ottenere i risultati migliori.
E questo è tanto più vero quando i paesaggi non li ha ripresi in modo diretto ma attraverso la mediazione di superfici irregolari che, riflettendoli, li deformavano restituendoceli come immersi in una dimensione fiabesca e inducendo l’osservatore a ricomporli idealmente.
Nella sua più recente ricerca si è ancora una volta trovata di fronte a soggetti ben noti – una Lambretta, un triciclo, alcune motociclette – ma ha sfruttato il fatto che non fossero immersi nel traffico o parcheggiati su un marciapiede dove abitualmente li vediamo per scoprire una loro insospettabile potenza espressiva.
Sullo sfondo nero su cui si stagliano, nel vuoto in cui si librano, questo soggetti perdono le loro caratteristiche di mezzi di trasporto per trasformarsi in sculture, in feticci, in pure forme su cui l’occhio si sofferma.
La ruggine che farebbe disperare il possessore del mezzo se questo fosse in vita come tale, qui diventa un elemento estetico che dialoga cromaticamente con il bianco e l’azzurro ormai un poco stinto della carrozzeria.
Di un pneumatico si colgono le crepe di consunzione, di un serbatoio le sinuosità mentre un motore conserva nella simmetria delle alettature le tracce dell’antica potenza e i segni di pittura sulle ruote e il telaio fanno comprendere che questi mezzi sono stati trasformati in oggetti da osservare. Così, volano nell’aria stagliandosi come apparizioni sullo sfondo così simile a un cielo notturno, sembrano voler balzar fuori dalla superficie della carta fotografica su cui sono state impresse in immagini ma fanno inevitabilmente pensare allo scorrere inaudito del tempo.
di Roberto Mutti